Metamorfosi

Donne che resistono alla violenza degli dei

dov’è la sorgente della mitologia? in noi? soltanto in noi?
In quelle tele si tesse lana color porpora che fu tinta in recipienti di bronzo di Tiro e lana d’altri colori meno brillanti, che sfumano inevitabilmente l’uno nell’altro, come avviene nell’arcobaleno.
Lo si vede, quando i raggi del sole si rifrangono nelle gocce di pioggia, tingere un largo tratto di cielo con la sua immensa striscia curva in cui splendono mille colori diversi… nel tessuto vengono aggiunti anche fili di duttile oro e su ogni tela appaiono descritti e avvolti gli episodi di un’antica storia. (Ovidio, Le Metamorfosi, Libro VI)

“Le Metamorfosi”, il poema della incessante trasformazione, si fa teatro.
Si fa immagine concreta, visione, corpo. Scena del conflitto indicibile tra la divinità e l’umano, della hybris divina, della disperata e fiera resistenza/resilienza dei viventi. Di un dio che, divorato dal desiderio, fa dello stupro la sua arma implacabile. E di donne che, anche nel mito, costituiscono il segno indelebile di una resistenza, di una altrettanto implacabile opposizione al conflitto, alla guerra, alla violenza.
Dopo aver indagato le forme del rito e del teatro in un corpo a corpo con la tragedia e la commedia dell’antica Grecia, Astràgali Teatro si rivolge stavolta a “Le Metamorfosi” ovidiane, nella necessità di una relazione e di una esplorazione del mito e delle sue forme. Esplorazione per nulla rassicurante né tantomeno consolatoria, come già aveva compreso Aby Warburg quando aveva parlato di “mitologia viva”.
Viva come sono vive, meravigliosamente e drammaticamente, Atena e Aracne in quella stanza dove si celebra la gara della tessitura, la potenza degli dei, ma anche la loro tracotanza e violenza e si narra, ancora una volta, della resistenza dell’umano al divino allorché Aracne, la famosa tessitrice della Lidia sfida in una gara Minerva, la dea che protegge fili e telai.
L’esito della gara è terribile, perché tremenda è la condanna di Aracne per aver violato l’interdetto e narrato il segreto degli strupri divini.
Così nel mito vive la storia di donne che attraversano il nostro mare, al bordo tra la vita e la morte, chiamate a cambiare pelle verso una nuova condizione, a patto di perdere la memoria e – forse – parte del senso di sé. Metamorfosi è, allora, la voce delle donne che cantano la vita, che irridono ai loro aguzzini, che richiamano alla necessità di una vicinanza e una prossimità solidale dinanzi alla violenza che -ci- divide.

Note di regia
Donne che raccontano le antiche storie delle Metamorfosi, intrecciando canti, immagini e miti della nostra più importante tradizione del Mediterraneo.
Metamorfosi è l’immagine che diviene vita.
Metamorfosi è il destino del nome che diviene cosa. Dafne, Eco e Narciso danzano come cose nel loro divenire.
Canto della resistenza dell’amore. Doppio ricucito sulla pelle che diviene nome. Scarto su questo mare comune che non riconosce nessuno.
Metamorfosi racconta di un dio maschio che viola il corpo di donne: la storia di Filomela, di Io, di Europa parlano della resistenza a questa violenza.
Noi, da sempre migranti, intrecciamo questi miti antichi per aprire gli occhi e il cuore sul tempo presente. Il Mediterraneo è un piccolo mare fatto di tante culture e intorno a noi cresce il bisogno di ritornare a raccontarci le storie che per secoli ci hanno donato il senso della vita.
Donne che cantano la vita, che incantano il mondo.

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